Era una mattina molto bella, di quelle che se le guardi negli occhi arrossiscono. Uscita di casa, appena sveglia e con addosso i vestiti del sonno, si era fermata in quel piccolo bar che le piaceva molto. Aveva ordinato un latte macchiato e, bevendo, aveva letto qualche pagina di un libro, rimanendone estasiata. Queste semplici cose: il mattino, il caffè, il latte, quelle parole altrui confidate in un libro nelle quali era riuscita a ritrovarsi, la facevano sentire viva. Quelle umili carezze che a molti sembrano banali-trascurabili-routine l’avevano fatta sentire speciale.
Sorrideva e pensava che quelle semplici cose erano le sue preferite. Poi il suo pensiero si era distratto, incuriosito dal dubbio. Se a renderla felice erano quelle cose così semplici, allora anche lei lo era? E se così fosse stato, questo l’avrebbe resa comprensibile? Certo. Era per forza così, non c’era piega nel suo ragionamento. MA. (dio quanto odiava le avversative) Allora quale spiegazione poteva esistere a quel profondo senso di inettitudine? Quella sensazione di completo mutismo provata dalla lingua, la sua, che pareva essere incomprensibile a tutto ciò che le stava attorno? Come potevano essere vere entrambe le cose? Aveva bevuto quel poco che restava nel bicchiere lungo e affusolato tentando di ignorare quelle domande, difficili, che di norma solo i bambini osano fare. E, in assenza di una risposta da sotto al tavolino, aveva continuato a leggere.
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